IL CONSIGLIO DI STATO 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 8328 del 2011, proposto da: 
    Enrico Moscati, rappresentato e difeso dagli  avv.  Paolo  Stella
Richter e Massimo Luciani, con domicilio eletto presso  Paolo  Stella
Richter in Roma, viale G. Mazzini n. 11; 
    Contro Universita' degli studi di Roma "Roma TRE", in persona del
Rettore pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale
dello Stato, domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
    Nei confronti di  Ministero  dell'Istruzione  dell'Universita'  e
della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato per legge in
Roma, via dei Portoghesi, 12; 
    Per la riforma dell'ordinanza cautelare del T.A.R. LAZIO -  ROMA:
SEZIONE  III  n.  03744/2011,  resa   tra   le   parti,   concernente
COLLOCAMENTO A RIPOSO PER RAGGIUNTI LIMITI D'ETA' - MCP 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Universita' degli
Studi "Roma Tre" e del Ministero dell'Istruzione, dell'Universita'  e
della Ricerca; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 novembre 2011  il
Cons. Roberto Garofoli e uditi  per  le  parti  gli  avvocati  Stella
Ricther e Luciani e l'avvocato dello Stato Stijano; 
    1. Il professore appellante e' stato autorizzato, con decreto del
Rettore dell'Universita' "Roma TRE", a permanere in servizio  per  un
ulteriore biennio oltre il normale limite d'eta' per  collocamento  a
riposo ai sensi dell'art. 16 d.lgs. n. 30 dicembre 1992, n. 503. 
    Essendo sopravvenuta la legge 30 dicembre 2010, n. 240, la quale,
all'art. 25, ha disposto che "l'art. 16 del  decreto  legislativo  30
dicembre 1992, n. 503 non si applica ai professori universitari", con
provvedimento prot. n.  7432/11  il  Rettore  dell'Universita'  "Roma
TRE", facendo applicazione e richiamando  in  motivazione  il  citato
art.  25,  ha  rigettato  l'istanza  di  trattenimento  in   servizio
presentata dall'appellante, conseguentemente collocato a riposo a far
data dal 1° novembre 2011. 
    2. L'odierno appellante, con ricorso al Tribunale  amministrativo
regionale per il Lazio, sede di Roma, ha  impugnato,  chiedendone  in
via incidentale la sospensione, il citato provvedimento  del  Rettore
della Universita' "Roma TRE" di Roma, con il quale e' stato  disposto
il  rigetto  dell'istanza  di  trattenimento  in  servizio  ai  sensi
dell'art. 16 d.lgs. n. 503 del 1992 ed il conseguente collocamento  a
riposo. Il Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio,  con
ordinanza  cautelare  n.  3744  dell'11  ottobre  2011  ha  rigettato
l'istanza cautelare proposta dall'odierno ricorrente. 
    Per  ottenere  la  riforma   di   tale   ordinanza   e,   quindi,
l'accoglimento della domanda cautelare  proposta,  il  ricorrente  ha
proposto appello innanzi al  Consiglio  di  Stato,  deducendo,  sotto
diversi profili, l'illegittimita' costituzionale dell'art.  25  della
citata legge n. 240 del 2010,  nella  misura  in  cui  preclude  ogni
possibilita'   di   trattenimento   in   servizio   dei    professori
universitari. 
    3.  Con  ordinanza  4897/11  del  9  novembre   questa   Sezione,
pronunciandosi in sede cautelare,  ha  disposto  la  sospensione  del
giudizio per la trasmissione degli atti  alla  Corte  Costituzionale,
come da separata ordinanza. 
    Al fine di conciliare il carattere accentrato  del  sindacato  di
costituzionalita' con  il  principio  di  effettivita'  della  tutela
giurisdizionale (artt. 24 e 113 Cost.; art. 6 e 13 della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali),  questo  Consiglio  di  Stato,  nell'ordinanza  appena
citata, ha concesso una  misura  cautelare  "interinale",  fino  alla
camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti da  parte
della  Corte   costituzionale,   ordinando   all'Amministrazione   di
ripronunciarsi sull'istanza di trattenimento in  servizio  presentata
dal  ricorrente,   alla   luce   del   quadro   normativo   esistente
anteriormente all'entrata in vigore del citato art. 25 legge  n.  240
del 2010, e, in particolare, dei criteri fissati dall'art. 72,  comma
7, decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112  (convertito  dalla  legge  6
agosto 2008, n. 133). 
    4. Il Collegio ritiene  che  la  questione  di  costituzionalita'
dell'art. 25 della legge n. 240 del 2010 (secondo cui "l'articolo  16
del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, non  si  applica  a
professori   e    ricercatori    universitari",    con    l'ulteriore
specificazione che "i provvedimenti  adottati  dalle  universita'  ai
sensi della predetta norma decadono dalla data di entrata  in  vigore
della presente legge, ad eccezione di quelli che hanno gia'  iniziato
a produrre i loro  effetti"),  sia  rilevante  e  non  manifestamente
infondata. 
    5. Con riferimento al requisito della rilevanza si osserva che la
norma in esame e' certamente applicabile alla fattispecie oggetto del
giudizio. Con il  provvedimento  amministrativo  impugnato  in  primo
grado e' stata respinta  l'istanza  del  ricorrente  proprio  facendo
applicazione dell'art. 25 legge n. 240 del 2010 che,  alla  luce  del
suo  chiaro   tenore   letterale,   preclude   irrimediabilmente   la
possibilita'  di  trattenimento  in   servizio   per   professori   e
ricercatori universitari, escludendo che  nei  loro  confronti  possa
essere applicata la disciplina contenuta nell'art. 16 d.lgs.  n.  503
del 1992. 
    5.1. L'applicazione che l'Universita'  ha  fatto  di  tale  norma
risulta corretta, atteso che  non  esistono  spazi  per  una  diversa
interpretazione. Ed infatti, anche se l'istanza di  trattenimento  in
servizio e' stata  presentata  anteriormente  all'entrata  in  vigore
della norma, quest'ultima  doveva  comunque  essere  applicata.  Cio'
risulta chiaramente dall'ultimo periodo dell'art. 25 legge n. 240 del
2010, che specifica che "i provvedimenti adottati  dalle  universita'
ai sensi della: predetta norma  decadono  alla  data  di  entrata  in
vigore della presente legge, ad eccezione di quelli  che  hanno  gia'
iniziato a produrre i  loro  effetti":  se  la  norma,  per  espressa
previsione  legislativa,  si  applica  anche  ai  casi  in   cui   il
provvedimento e' gia' stato adottato, ma non ha iniziato  a  produrre
effetti, essa deve,  a  maggior  ragione,  applicarsi  laddove,  come
accade nel presente giudizio, l'istanza di  trattenimento  era  stata
solo presentata, ma non ancora positivamente riscontrata. 
    5.2. L'eventuale dichiarazione di  incostituzionalita'  dell'art.
25 legge n.  240  del  2010  avrebbe  cosi'  l'effetto  di  rimuovere
l'ostacolo normativa all'applicazione dell'art. 16 d.lgs. n. 503  del
1992, consentendo, quindi, al  ricorrente  di  ottenere  che  la  sua
istanza di permanenza in servizio  sia  esaminata  (ed  eventualmente
accolta) dall'Universita' sulla base dei criteri introdotti dall'art.
72, comma 7, decreto-legge 25 giugno  2008,  n.  112,  convertito  in
legge n. 133 del 2008. 
    5.3. La rilevanza della questione non e' parimenti esclusa  dalla
natura cautelare del giudizio nell'ambito del quale la  questione  di
costituzionalita' viene sollevata. 
    Il  problema  dei  rapporti   tra   incidente   di   legittimita'
costituzionale e giudizio cautelare e' oggetto di  una  significativa
elaborazione giurisprudenziale e dottrinale. 
    Sul punto, la  Corte  costituzionale  e'  costante  nel  ritenere
inammissibile la questione di legittimita' costituzionale per difetto
di  rilevanza  qualora  essa  venga  sollevata  dopo  l'adozione  del
provvedimento cautelare. Si afferma che, in tal caso,  la  rimessione
alla Corte e' tardiva  in  relazione  al  giudizio  cautelare,  ormai
concluso, e prematura in relazione al giudizio di merito,  in  ordine
al quale, il collegio, in mancanza della  fissazione  della  relativa
udienza di discussione, e' privo di potere decisorio. 
    Per   evitare,   tuttavia,   che   la   legge    sospettata    di
incostituzionalita'  possa  precludere  definitivamente   la   tutela
cautelare mortificando  le  esigenze  di  tutela  immediata  ad  esse
sottese  -  il  che  si  tradurrebbe  in  una  palese  violazione  di
fondamentali principi  costituzionali  (artt.  24  e  113  Cost.),  o
sovranazionali (art. 6 e 13 CEDU) - la giurisprudenza, nel  tentativo
di   conciliare   il   carattere   accentrato   del   controllo    di
costituzionalita' delle leggi con il principio di effettivita'  della
tutela giurisdizionale, ha sperimentato due soluzioni. 
    La prima consiste nel concedere la sospensiva,  disapplicando  la
legge sospettata di incostituzionalita',  rinviando  al  giudizio  di
merito la rimessione della questione di  legittimita'  costituzionale
(cfr. Cons. Stato, Ad. plen. , ordinanza  20  dicembre  1999,  n.  2;
Cons. Giust. Amm., ordinanza 20 giugno 2001, n. 458). 
    La seconda consiste, invece,  nella  scomposizione  del  giudizio
cautelare in due fasi:  nella  prima  fase  si  accoglie  la  domanda
cautelare  "a  termine",  fino  alla  decisione  della  questione  di
costituzionalita'  contestualmente  sollevata;  nella  seconda  fase,
all'esito   del   giudizio   di    costituzionalita',    si    decide
"definitivamente", tenendo conto, per valutare se sussiste  il  fumus
boni iuris, della decisione della Corte costituzionale, sulla domanda
cautelare. 
    Tra le due soluzioni possibili, il Collegio  ritiene  preferibile
la seconda, perche' e' quella che meno si allontana dai  principi  su
cui si fonda il nostro  sistema  di  giustizia  costituzionale:  essa
evita,  infatti,  che   il   giudice   a   quo   possa   disapplicare
"definitivamente"  la  legge,  sottraendosi   contestualmente   anche
all'obbligo, di cui all'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87,  di
sollevare la questione di costituzionalita'. 
    Tale soluzione, del resto, risulta  anche  in  linea  con  quella
accolta dalla giurisprudenza della  Corte  di  giustizia  dell'Unione
Europea in ordine alla  questione,  per  alcuni  versi  analoga,  dei
rapporti tra giudizio cautelare e questione  pregiudiziale  ai  sensi
dell'art. 267 del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  Europea
sulla validita' di un atto comunitario. 
    La Corte di giustizia ha riconosciuto al giudice  nazionale,  nei
casi  di   urgenza,   il   potere, di   sospendere   "interinalmente"
l'esecuzione di un provvedimento amministrativo nazionale emanato  in
attuazione di  un  regolamento  comunitario  della  cui  legittimita'
dubiti, a condizione che: a)  sollevi  contestualmente  la  questione
pregiudiziale per l'accertamento della validita' del regolamento;  b)
rinvii  la  definizione  del  giudizio  cautelare   all'esito   della
decisione della Corte  di  giustizia  sulla  questione  pregiudiziale
(Corte giustizia U.E. 19 giugno 1990,  C-213/89,  Factotame;  Id.  21
febbraio 1991, Zuckerfabrik, C-143/88  e  C-92/89;  Id.,  9  novembre
1995, C-465/93, Atlanta). 
    Anche l'iter procedimentale delineato dalla  Corte  di  giustizia
e',  quindi,  nel  senso  dell'articolazione  bifasica  del  giudizio
cautelare: il giudice nazionale non puo'  sospendere  e  rinviare  al
merito la pregiudiziale di validita', ma  deve  rimettere  subito  la
questione alla Corte e concedere la misura cautelare in via meramente
provvisoria, fino alla decisione della questione pregiudiziale. 
    Nonostante le innegabili diversita', questa fattispecie  presenta
anche alcune significative affinita' con le  situazioni  nella  quali
viene in rilievo il rapporto tra processo cautelare  e  incidente  di
costituzionalita'. In entrambi i casi, infatti, il giudice a quo, per
concedere la tutela cautelare e apprestare una tutela giurisdizionale
effettiva  per  i  diritti  dei  singoli,  esercita  un   potere   di
disapplicazione "provvisoria" (ora della norma comunitaria, ora della
legge incostituzionale), rimettendo contestualmente la  questione  di
validita' al giudice cui il controllo di quelle norme  sospettate  di
illegittimita' spetta in via esclusiva (la Corte di giustizia  in  un
caso, la Corte costituzionale nell'altro). 
    Anche  la  Corte  costituzionale,  infine,  con   riferimento   a
questioni di legittimita' sollevate in sede cautelare,  ha,  in  piu'
occasioni, osservato che la potestas  iudicandi  non  puo'  ritenersi
esaurita quando la concessione della  misura  cautelare,  come  nella
specie, e' fondata, quanto al fumus bori iuris, sulla  non  manifesta
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dovendosi
in tal caso la sospensione dell'efficacia del provvedimento impugnato
ritenere di carattere provvisorio e temporaneo fino alla ripresa  del
giudizio cautelare dopo l'incidente  di  legittimita'  costituzionale
(ex plurimis: sentenze n. 444 del 1990, n. 367 del 1991; n. 30  e  n.
359 del 1995; n. 183 del 1997, n. 4 del 2000 nonche'  l'ordinanza  n.
24 del 1995 e n. 194 del 2006). 
    5.4. Sempre in ordine alla rilevanza della questione, si  osserva
che nel caso di specie il requisito  del  periculum  in  mora  merita
positivo apprezzamento. E' evidente, infatti, che il tempo necessario
per  la  decisione  del  ricorso  nel  merito  potrebbe  arrecare  al
ricorrente  un   pregiudizio   grave   e   irreparabile,   anche   in
considerazione del  fatto  che  verrebbe  a  scadere  il  biennio  in
relazione al quale egli ha presentato la richiesta  di  trattenimento
in servizio. 
    6.  La  questione   di   legittimita'   costituzionale   non   e'
manifestamente infondata. 
    6.1. L'art. 25 legge  n.  240  del  2010,  escludendo  senz'altro
l'applicazione dell'art. 16 d.lgs. n. 503 del 1992  ai  professori  e
ricercatori universitari, sembra, infatti, porsi in contrasto con gli
articoli 3, 33, 97 Cost. 
    Il Collegio ritiene, in particolare, che la deroga che  la  norma
introduce rispetto alla disciplina generale di cui al citato articolo
16 d.lgs. n. 503 del 1992 appare irragionevole (perche' non  sorretta
da una adeguata  ragione  giustificatrice),  comunque  sproporzionata
rispetto alla finalita' perseguita, e lesiva sia  del  principio  del
buon andamento dell'azione amministrativa (art. 97  Cost.),  sia  del
principio  dell'autonomia  universitaria  (art.  33,  ultimo   comma,
Cost.), nella misura in cui  priva  le  Universita',  discriminandole
rispetto  a  qualsiasi  altro  ente  pubblico,  di  ogni  potere   di
valutazione in ordine alla possibilita' di accogliere le  istanze  di
trattenimento in servizio presentate  dal  personale  docente,  anche
laddove tale prolungamento risulti funzionale a  specifiche  esigenze
organizzative, didattiche o  di  ricerca.  Si  impedisce  cosi'  alle
universita' di dar corso ad una adeguata, seppur eccezionale,  misura
organizzativa in tema di provvista di personale,  escludendone  senza
rimedio quello caratterizzato da  una  ben  difficilmente  ripetibile
qualificazione scientifica, la cui disponibilita' inerisce invece  la
specialita'  del  servizio  pubblico   propria   delle   universita',
consistente nella concreta trasmissione del sapere. L'effetto e',  in
danno dell'interesse generale e della funzionalita' ad esso  di  quel
servizio, quello dell'irrimediabile dispersione di risorse  preziose,
quanto oggettivamente infungibili a un tale riguardo. 
    La norma, inoltre, trovando applicazione anche nei confronti  dei
professori  e  dei  ricercatori  universitari  che  abbiano  maturato
un'aspettativa giuridicamente consolidata in ordine alla possibilita'
di permanere in servizio risulta lesiva del principio  del  legittimo
affidamento e della  sicurezza  giuridica,  che  pure  trova  il  suo
fondamento,  secondo  quanto  piu'  volte   affermato   dalla   Corte
costituzionale, nell'art. 3 della Costituzione. 
    6.2. Giova, al riguardo,  ricostruire  brevemente  la  disciplina
generale - contenuta nell'art. 16 d.lgs. n. 503 del 1992 -  che  pone
come   tertium   comparationis   alla   cui   stregua   valutare   la
ragionevolezza della differente disciplina  introdotta  dall'art.  25
legge n. 340 del 2010. 
    L'art.  16,  comma  1,  d.lgs.  n.  503  del  1992,   dopo   aver
riconosciuto la facolta' per "i dipendenti civili dello Stato e degli
enti pubblici non economici di permanere  in  servizio,  con  effetto
dalla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n.  421,
per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di  eta'  per  il
collocamento a riposo per  essi  previsti",  specifica,  nel  periodo
successivo (introdotto dall'art. 72, comma 7,  del  decreto-legge  25
giugno  2008,  n.  112),  che  "in  tal   caso   e'   data   facolta'
all'amministrazione, in base alle proprie  esigenze  organizzative  e
funzionali, di trattenere in servizio il dipendente in relazione alla
particolare esperienza  professionale  acquisita  dal  dipendente  in
determinati  o  specifici  ambiti  ed  in  funzione   dell'efficiente
andamento dei servizi". 
    La norma generale, la cui applicabilita' e' esclusa dall'art.  25
legge n. 340 del 2010 per i professori  e  ricercatori  universitari,
prevede, quindi, in seguito alle modifiche introdotte  dall'art.  72,
comma  7,  d.-  l.  n.  112  del  2008,  un  sistema  nel  quale   il
trattenimento in servizio del dipendente pubblico non e' piu' rimesso
ad un vero e proprio diritto  potestativo  del  medesimo,  della  cui
scelta  l'Amministrazione  deve  limitarsi  a  prenderne  atto,  come
accadeva, invece, in base all'originaria formulazione dell'art. 16. 
    In seguito alle modifiche intervenute nel 2008, l'art. 16  d.lgs.
n. 503 del  1992  non  contempla  piu'  un  diritto  soggettivo  alla
permanenza in  servizio  del  pubblico  dipendente,  ma  prevede  che
l'istanza che il dipendente ha facolta' di presentare venga  valutata
discrezionalmente  dall'Amministrazione  (la  quale  ha  facolta'  di
accoglierla), e che essa possa avere accoglimento  solo  in  concreta
presenza degli specifici presupposti individuati dalla  disposizione,
i primi dei quali  sono  legati  ai  profili  organizzativi  generali
dell'amministrazione  medesima  ("in  base  alle   proprie   esigenze
organizzative e funzionali) e i seguenti  alla  situazione  specifica
soggettiva  e  oggettiva  del   richiedente   ("in   relazione   alla
particolare esperienza professionale  acquisita  dal  richiedente  in
determinati  o  specifici  ambiti  ed  in  funzione   dell'efficiente
andamento dei servizi"). 
    6.3. Come la giurisprudenza amministrativa ha chiarito (cfr.,  in
particolare,  Cons.  Stato,  VI,  6  giugno  2011,  n.   3360),   con
l'innovazione introdotta dall'art. 72, comma  7,  d.-l.  n.  112  del
2008, la permanenza in servizio oltre l'ordinario limite di  eta'  e'
divenuto istituto da considerare  ormai  eccezionale  a  causa  delle
esigenze generali di contenimento della spesa pubblica  espressamente
perseguito con  la  manovra  di  cui  allo  stesso  decreto-legge,  e
segnatamente con le disposizioni del Capo II, tra cui  e'  quella  in
esame. Pertanto la sua determinazione in concreto va sorretta, se nel
senso della protrazione del servizio, da adeguate giustificazioni  in
relazione ai parametri di valutazione indicati dalla disposizione, la
cui  ragione  va  puntualmente   esternata.   Tra   questi,   secondo
l'interpretazione giurisprudenziale deve considerarsi  prevalente  la
considerazione delle effettive "esigenze organizzative e  funzionali"
dell'amministrazione,  rispetto  a  cui  "la  particolare  esperienza
professionale acquisita dal richiedente in  determinati  o  specifici
ambiti"  rappresenta  un  criterio  giustificativo   necessario,   ma
ulteriore, e non gia' la ragione determinante. 
    Si tratta, infatti, di dar corso  ad  un'ipotesi  eccezionale  di
provvista di docente, che deve essere adeguatamente  giustificata  da
oggettivi e concreti fatti organizzativi,  tali  da  imporre  che  si
faccia ricorso ad un tale particolare strumento. 
    Questo Consiglio di Stato ha cosi' precisato  che  l'esternazione
di una tale giustificazione della scelta -  insieme  a  quella  sugli
altri  elementi  richiesti,  a  seguire,  dalla  disposizione  -   e'
necessaria per dar conto del  come  e  perche'  l'Amministrazione  si
determini, derogando alle  esigenze  di  risparmio  perseguite  dalla
legge, a seguire questa speciale via (cfr. ancora Cons. Stato, VI,  6
giugno 2011, n. 3360). 
    Non cosi' e' quando l'Amministrazione si determini negativamente,
ricorrendo allora la situazione ordinaria di normale  estinzione  del
rapporto lavorativo per raggiungimento dei limiti di  eta',  che  non
richiede una speciale esternazione circa  la  particolare  esperienza
professionale dell'interessato. 
    La ratio della modifica del 2008 e', infatti,  essenzialmente  di
contenimento finanziario e questo prevale, perche' cosi' vuole questa
legge, sulla qualita' professionale del  docente:  sicche'  e'  nella
prima valutazione che va incentrata la scelta e ne  va,  se  positiva
rispetto alla disponibilita'. offerta  dall'interessato,  manifestata
la ragione. 
    L'innovazione del 2008 ha  invertito,  quindi,  il  rapporto  tra
regola ed eccezione della legislazione del 1992.  L'uso  del  termine
"facolta'"  descrive  null'altro  che  la  possibilita',   da   parte
dell'interessato, di domandare all'Amministrazione  il  trattenimento
in servizio, ma non piu' un diritto all'ufficio. La  struttura  della
fattispecie definita dalla disposizione del 2008  si  configura  come
eccezionale e sottopone l'accoglimento a rigorose condizioni. 
    7. Rispetto a tale disciplina, che,  come  si  e'  appena  visto,
sottopone il mantenimento  in  servizio  a  rigorose  condizioni,  la
scelta radicale, contenuta nell'art. 25 legge n.  240  del  2010,  di
escludere sempre e comunque per professori e ricercatori universitari
ogni possibilita' di mantenimento in servizio, appare irragionevole e
sprovvista di  una  sostanziale  giustificazione  e,  come  tale,  in
contrasto con uno dei corollari del principio di uguaglianza  di  cui
all'art. 3 Cost., ovvero con il  principio  di  ragionevolezza  della
legge. 
    Non pare ravvisarsi, infatti, una idonea ragione  giustificatrice
che possa  essere  addotta  a  sostegno  della  definitiva  e  totale
esclusione, per questa speciale categoria di dipendenti pubblici,  di
qualsiasi possibilita' di mantenimento in servizio oltre  il  normale
periodo di servizio. 
    7.1.  Non  sembra,  in  particolare,  rappresentare  una   valida
giustificazione l'esigenza, che talvolta emerge anche nel  corso  dei
lavori preparatori della legge  n.  240  del  2010,  di  favorire  il
ricambio generazionale nelle Universita'. Qui,  infatti,  non  e'  in
discussione  la  realizzazione  di  tale  obiettivo,  che  certamente
rientra nella discrezionalita' del legislatore, ma  il  bilanciamento
che il legislatore deve compiere tra il suo perseguimento e la tutela
di altri valori di primario rilievo costituzionale che possono essere
incisi dalla scelta legislativa (cfr. Corte cost., 24 luglio 2009, n.
239). 
    Nel caso di specie, la scelta legislativa  appare  sbilanciata  e
sproporzionata,  perche',  in   nome   dell'esigenza   del   ricambio
generazionale,  il  legislatore  non  si  fa  carico  delle  negative
ripercussioni  che  potrebbero  derivarne  sui  principi   del   buon
andamento della pubblica amministrazione  (art.  97  Cost.)  e  della
tutela dell'autonomia universitaria (art. 33 Cost.). 
    Cio' emerge in maniera evidente se si considera che gli obiettivi
che la norma persegue vengono gia' adeguatamente perseguiti dall'art.
16 d.lgs. n. 503 del 1992 che, in seguito alle  modifiche  del  2008,
prevede l'eccezionalita'  del  mantenimento  in  servizio,  tanto  da
specificare che esso possa  essere  assentito  solo  in  presenza  di
specifici e stringenti presupposti. 
    Nell'ambito di un sistema che gia', prevede come regola generale,
anche per favorire ricambio generazionale nell'ambito della  pubblica
amministrazione, l'eccezionalita' del mantenimento  in  servizio,  la
scelta di escludere radicalmente, per i professori  e  i  ricercatoti
universitari,  ogni  possibilita'   di   prolungamento   rischia   di
rappresentare una limitazione eccessiva e sproporzionata. 
    8. L'automatismo dell'interruzione  del  servizio  al  compimento
dell'eta' prevista, e la totale esclusione di  ogni  possibilita'  di
diversa  valutazione  da  parte  dell'Amministrazione,  finisce,   in
particolare,   per   minare   quei   valori,   anch'essi   di   rango
costituzionale, che la norma generale (l'art. 16 d.lgs.  n.  503  del
1992), qui richiamata come tertium comparationis, cerca al  contrario
di assicurare. 
    8.1. Si tratta, in primo luogo, del principio del buon  andamento
dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 Cost.: l'art. 25  legge
n. 240 del 2010 impedisce  alle  Universita'  di  poter  disporre  il
mantenimento in servizio per un ulteriore  biennio  anche  quando  la
continuita' del servizio si imporrebbe in vista della  necessita'  di
soddisfare  specifiche   "esigenze   organizzative   e   funzionali",
cui l'art. 16 d.lgs. n. 503 del  1992  fa  espresso  riferimento.  Il
valore   costituzionale   del   buon   andamento    della    pubblica
amministrazione - che non puo'  non  prendere  in  considerazione  il
ricordato obiettivo della trasmissione delle conoscenze - e', in  tal
modo, totalmente obliterato, e questo, oltre a rilevare come autonomo
profilo di incostituzionalita', rende ancor piu' evidente il  vulnus,
recato  dalla  rigidita'  introdotta,  al  richiamato  principio   di
ragionevolezza. 
    8.2. Un ulteriore profilo di possibile incostituzionalita'  viene
in rilievo anche in relazione all'art. 33, comma 6, Cost., che tutela
l'autonomia funzionale delle Universita',  riconoscendo  il  "diritto
delle stesse di governarsi liberamente attraverso i  suoi  organi  e,
soprattutto,  attraverso  il  corpo  dei  docenti  nelle  sue   varie
articolazioni, cosi' risolvendosi nel  potere  di  autodeterminazione
del corpo accademico (cosiddetto autogoverno dell'ente da  parte  del
corpo accademico)" (Corte cost., 9 novembre 1988, n. 1017). 
    L'autonomia  universitaria  -  che  e'  autonomia  organizzativa,
contabile, didattica e scientifica - rischia di  essere  pregiudicata
da una norma che preclude,  invece,  proprio  alle  Universita'  ogni
decisione sulla permanenza in servizio del proprio personale docente. 
    In tal modo,  la  disparita'  di  trattamento  tra  categorie  di
pubblici dipendenti (i professori e ricercatori universitari rispetto
al restante personale pubblico) viene a tradursi in una disparita' di
trattamento anche tra i  relativi  enti  di  appartenenza,  negandosi
proprio  alle  Universita',  titolari  di   un'autonomia   funzionale
costituzionalmente garantita, ogni margine di autonomo apprezzamento. 
    9.  Un  ulteriore  profilo  di  irragionevolezza   deriva   dalla
violazione del principio della sicurezza giuridica e  di  tutela  del
legittimo affidamento maturato in capo ai  professori  e  ricercatori
universitari per effetto della previgente normativa. 
    La Corte costituzionale ha gia' avuto occasione di affermare  che
nel nostro  sistema  costituzionale  non  e'  affatto  interdetto  al
legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare  in
senso sfavorevole per i beneficiari la  disciplina  dei  rapporti  di
durata, anche se  l'oggetto  di  questi  sia  costituito  da  diritti
soggettivi perfetti. 
    Secondo la  stessa  giurisprudenza  costituzionale,  rappresenta,
tuttavia, condizione essenziale che tali disposizioni non  trasmodino
in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a  situazioni
sostanziali  fondate  sulle  leggi  precedenti,   l'affidamento   del
cittadino nella sicurezza giuridica,  da  intendersi  quale  elemento
fondamentale dello Stato di diritto (cfr. sentenze n. 236 e n. 24 del
2009; n. 11 del 2007; n. 409 del 2005; n. 446 del 2002;  n.  416  del
1999, n. 360 del 1995, n. 573 del 1990, n. 822 del 1988 e n. 349  del
1985). 
    Il principio del  legittimo  affidamento,  in  particolare,  deve
ritenersi violato (con conseguente  incostituzionalita'  della  legge
per violazione del principio di uguaglianza,  sotto  il  profilo  del
difetto di ragionevolezza), nel caso in cui la  nuova  norma  incida,
con  una  disciplina  peggiorativa,  su  aspettative   giuridicamente
qualificate, che siano pervenute  ad  un  livello  di  consolidamento
cosi'    elevato    da     creare,     appunto,     quell'affidamento
costituzionalmente  protetto  nella   conservazione   del   pregresso
trattamento. 
    Nel caso di specie, l'art.  25  legge  n.  240  del  2010  sembra
tradire il principio del legittimo affidamento nella  misura  in  cui
prevede  che  la  disciplina   da   esso   introdotta   si   applichi
indistintamente a tutti  i  professori  e  ricercatori  universitari,
anche a quelli che, come il ricorrente, per molti  anni  hanno  fatto
affidamento su una  disciplina  che  consentiva  il  mantenimento  in
servizio per un ulteriore biennio: inizialmente a semplice richiesta,
e poi, in seguito alle modifiche introdotte dall'art.  72,  comma  7,
decreto-legge n.  112  del  2008,  previa  valutazione  discrezionale
dell'Amministrazione. 
    Al momento dell'entrata  in  vigore  della  norma  censurata,  il
ricorrente era in procinto di iniziare il biennio  di  prolungamento,
tanto che era  gia'  stato  autorizzato  in  tal  senso  con  decreto
rettorale adottato sulla base della originaria  disciplina  dell'art.
16 d.lgs. n. 503 del 1992. Egli, pertanto,  puo'  ritenersi  titolare
non  di  una  aspettativa  di  mero  fatto,  ma  di  una  aspettativa
giuridicamente rilevante,  ormai  pervenuta,  per'effetto  del  tempo
trascorso e del provvedimento di autorizzazione al  trattenimento  in
servizio gia' adottato, ad  un  livello  di  consolidamento  tale  da
creare un legittimo affidamento. 
    Sotto tale profilo, l'art. 25 della legge n. 240 del 2010,  nella
misura in cui esclude dalla nuova disciplina soltanto  i  beneficiari
di un provvedimento  di  mantenimento  in  servizio  che  abbia  gia'
iniziato a produrre effetti, opera una  irragionevole  disparita'  di
trattamento tra situazioni sostanzialmente identiche, tutte  comunque
caratterizzate da un legittimo affidamento nel prolungamento biennale
del rapporto. 
    10. Per quanto esposto, appare  rilevante  e  non  manifestamente
infondata la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  25
della legge 240 del 2010, in relazione agli articoli 3, 33 e 97 della
Costituzione. 
    Per l'effetto, vanno trasmessi alla Corte costituzionale gli atti
del giudizio sospeso con ordinanza pronunciata in data odierna.